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mercoledì 14 maggio 2014

Umbriatico e le «Ombre Templari»

Giuseppe Pisano (docente di italiano alle Superiori e autore del volumetto «Ombre Templari a Umbriatico», appena dato alle stampe) ne parla con convinzione e non poco entusiamo. «Quell'antica chiesa-fortezza di Umbriatico, in provincia di Crotone», dice, «custodisce reliquie risalenti alla crocifissione di Cristo: un chiodo, una spina,  frammenti della veste, che potrebbero essere stati portati da Cavalieri Templari. Tombe di cavalieri in armi, infatti, sono state rinvenute accanto ad altre due chiese non molto distanti da quella di San Donato».
Gli storici contemporanei, fino ad oggi, a sentire il prof. Pisano, avrebbero addirittura ignorato l'esistenza di questo «tesoro nascosto». Eppure, se una notizia del genere - nel volgere di poco tempo - venisse suffragata, per così dire, anche da riscontri scientifici, di certo rimbalzerebbe di punto in bianco agli onori della cronaca mondiale, arrivando a superare di gran lunga finanche la risonanza ottenuta negli anni dalla Sacra Sindone.
L'opera - che si presenta su carta patinata, ben arricchita da illustrazioni a colori - intanto verrà ufficialmente presentata venerdì 16 maggio, nel piccolo borgo del Crotonese. 
«Questo originale lavoro di Pisano» - sostiene nella prefazione Enzo Valente, presidente della sezione di Cirò Marina dell'Accademia nazionale Templare - «ha il merito di portare alla luce tracce importanti della presenza Templare in Calabria; tracce del tutto inedite, fino ad ora ignorate dagli storici. A Giuseppe Pisano, quindi, va riconosciuto il merito di avere effettuato  minuziose ricerche presso biblioteche e archivi e di aver messo in evidenza quelle parti di testi di autori vari che rappresentano chiari riferimenti ed indizi di una presenza Templare in questo territorio».
I cavalieri Templari. Già! Se ne parla forse poco ma c'è chi assicura che la loro «presenza in Calabria è ancora  molto forte». L’interesse verso gli antichi Ordini cavallereschi e i loro misteri, anche nel territorio calabrese, a quanto pare, risulta sempre più in crescendo. Ma quale «febbre» - ci vien fatto di chiedere - spinge, ai nostri giorni, molti stimati professionisti a studiare lingue perdute, decifrare codici, inseguire indizi su antichi testi? Alla base di questi studi, emerge quasi sempre il mito forse più affascinante di tutti i tempi: il Graal.
Cosa simboleggia, dunque, questo Graal, la cui «cerca» richiama ancora oggi, finanche in Calabria, una folta schiera di amanti del mistero, di «avventurieri» dell’esoterico, di esploratori della conoscenza? Il calice dell’Ultima Cena, nel quale - secondo la leggenda più antica - Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue che sgorgò dal costato di Cristo sulla croce? O la chiave che contiene i misteri del plurimillenario potere della Chiesa sulla terra (cioè la tomba della Maddalena), come sostiene Dan Brown nel suo «Codice da Vinci»? Chissà! L’unica cosa che al momento si può affermare (con assoluta certezza) è che questi «esploratori» calabresi del Terzo millennio, appartenenti ad Accademie o a clubs service come Lions o Rotary, sono tutt’altro che esaltati, visto che si tratta di studiosi, valenti intellettuali.
Com’è noto l’origine del misterioso Graal è strettamente legata ad un altrettanto celebre mito: quello di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Ed è da qui che dovremmo partire, per una sorta di viaggio nel tempo, tra racconto e indagine filologica, per cercare di capire di più, per ottenere qualche risposta ai tanti interrogativi, ma il discorso andrebbe certamente per le lunghe.
«A livello letterale», sostiene un grande esperto come Franco Cardini, «la cerca del Graal è solo una bella avventura cavalleresca; ma a livello allegorico essa è il racconto del processo iniziatico che conduce alla conquista della sapienza, cioè alla liberazione dalla prigione delle apparenze».
Diventa più chiaro, a questo punto, il senso profondo che motiva gli «esploratori» di oggi: il bisogno di una ricerca materiale, sì, ma che allo stesso tempo sia anche un percorso introspettivo. Dicono le tradizioni che per trovare il Graal (ma anche altri oggetti «dotati» di un potere analogo) bisogna dimostrare di esserne degni, salvo poi il fatto che non lo si è mai abbastanza. L’obiettivo perciò non è tanto il Graal, quanto trovare se stessi. E non è poco. Anzi. 
Vincenzo Pitaro

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sabato 10 maggio 2014

Milano rende omaggio al grande Mimmo Rotella

«Mimmo Rotella, décollages e retro d’affiches». È questo il titolo dell’interessante retrospettiva promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Milano e curata da Germano Celant. Le prime sperimentazioni sul décollage (il manifesto lacerato, divenuto cifra stilistica di Rotella) saranno infatti al centro di una grande mostra, in programma nel capoluogo lombardo, dal 13 giugno al  31 agosto, presso gli spazi espositivi di Palazzo Reale. Attraverso 160 opere, in pratica, verrà ricostruito circa un decennio di attività (dal 1953 al 1964) del famoso artista calabrese.

Storia. Catanzaro e provincia, una fucina d'ingegni

di Aldo A. Mola

Tra le città italiane, Catanzaro spicca per la memoria che ha conservato e conserva dei suoi maggiori esponenti culturali. È la prova di orgoglio di una terra che si affermò negli studi molto prima di ottenere una sede universitaria. I suoi licei e istituti superiori, sin dal Settecento, proprio perché così lontani da Napoli, capitale intellettuale del Regno, o da Palermo, sede dell'antica gloriosa Università, già contavano su uomini di straordinaria erudizione, la cui intensità di pensiero era tanto più grande quanto più erano costretti a esercitarla in un circuito geograficamente ristretto.
Anche seminari, monasteri e curie diocesane si trasformavano in fucine d'ingegni, spesso destinati ad affermarsi ai ranghi più elevati della Chiesa.
Proprio da quell'humus di profonda cultura, negli stessi anni in cui il sacerdote Antonio Greco veniva eletto primo deputato di Catanzaro alla Camera del Regno, la nobile città calabrese espresse un filosofo che sembrò rinverdire la grande tradizione del cosentino Bernardino Telesio e di Tommaso Campanella. Ci riferiamo al filosofo Francesco Fiorentino, al quale sono dedicate una via e la grande piazza non lontana dall'ombrosa villa Comunale, quasi un salotto all'aperto.
Nato a Sambiase (Lamezia Terme, CZ) nel 1834, Fiorentino si formò alla scuola del celebre Pasquale Galluppi e del francese Victor Cousin, che adattò il pensiero di Hegel, campione dell'idealismo tedesco, alla tradizione filosofica francese,  meno astratta e più attenta ai problemi della storia e della società politica. Profondo cultore dei classici, ma anche dei contemporanei che conosceva nelle lingue originali, Francesco Fiorentino si entusiasmò da giovane per Vincenzo Gioberti, il teologo torinese che conciliava tradizione cattolica e spiriti liberali, sia sul piano teorico-filosofico sia su quello pratico, tanto da essere mandato in esilio perché sospettato di cospirazione contro l'assolutismo. Fiorentino intraprese anche studi sistematici del pensiero medioevale, con particolare attenzione per i mistici, a cominciare da San Bonaventura, maggiore esponente della tradizione filosofica francescana. Ad attrarre Fiorentino su sponde diverse fu la lotta per l'unificazione nazionale, che lo spinse a riflettere sugli ostacoli che la frenavano.
Come il conterraneo Francesco De Luca e molti altri democratici meridionali, egli si gettò allora a esaltare la figura di Giordano Bruno, arso vivo come eretico nel 1600, in realtà perché considerato pericoloso per il potere temporale dei papi. Balzando da un secolo all'altro negli studi, Fiorentino passò poi dai pensatori greci come Platone e Aristotele – ai quali dedicò un saggio nel 1864 – ai grandi filosofi tedeschi di fine Settecento, a cominciare da Kant, ch'egli fece conoscere in Italia, traducendone alcune opere. Nel 1880, Francesco Fiorentino pubblicò un manuale, «Elementi di filosofia», presto adottato nella maggior parte dei licei e delle università del regno.
Trent'anni dopo, e benché egli fosse morto da quasi un quarto di secolo (si spense infatti a Napoli nel 1884), quella stessa opera venne ripubblicata da Giovanni Gentile, che ne fece a lungo un vero e proprio classico per generazioni di studiosi.
Francesco Fiorentino si occupò di filosofi dei secoli più diversi, ognuno dei quali presupponeva approfondimenti che da solo egli non potè portare al limite della perfezione, tanto da essere giudicato dispersivo, se non proprio disordinato.
Egli però non voleva affatto essere lo specialista di un periodo o di un filosofo piuttosto che di altri. Sapeva che per l'Italia, dopo l'Unità, il vero problema era di riprendere contatto con il pensiero universale, senza censure e senza limitazioni. Non si trattava di formare un piccolo nucleo di addetti ai lavori, un cenacolo di specialisti: era urgente voltare pagina in generale, facendo capire ai giovani quanto fosse vasto il patrimonio intellettuale accumulato nei secoli, far percepire che, al di là degli steccati tradizionali, v'erano anche le filosofie e le religioni extraeuropee, la sapienza presocratica, le «civiltà orientali».
Ancora nel 1924 - quarant'anni dopo la morte del suo autore - il «Manuale di storia della filosofia ad uso dei licei», di Francesco Fiorentino, adattato nel 1911 dalla figlia Luisa, venne rimesso a nuovo da Armando Carlini e, in tale veste, rimase in uso sin dopo la seconda guerra mondiale. Insomma, il filosofo catanzarese non fu un genio originale, non ideò alcun sistema personale e non pretese di creare nulla di veramente nuovo. Tuttavia egli ebbe un merito anche maggiore: per quasi cento anni offrì ai giovani un quadro sintetico, chiaro, equilibrato e onesto dei diversi pensatori o sistemi susseguitisi nel tempo.
Da questo punto di vista, Fiorentino non fu troppo diverso da uno dei politici di maggiore spicco del Catanzarese, l'avvocato Bruno Chimirri (Serra San Bruno 1842 - Amato 1917), che si affermò quale economista e dedicò le sue energie a grandi opere di bonifica non solo nel Mezzogiorno ma anche nell'Agro Pontino. Asceso a ministro dell'Agricoltura con Giovanni Giolitti, anche Chimirri non inseguì l'affermazione di progetti personali, di sogni individuali, puntò a mettere a frutto le cognizioni accumulate in decenni di buona amministrazione per «portare a casa» gli accordi più vantaggiosi, soprattutto con la Germania e l'Austria che taluni suoi contemporanei consideravano «nemico storico» dell'Italia in seguito alle guerre risorgimentali.
Con severo senso dei bisogni più urgenti del Paese, Chimirri si premurò di combattere la povertà e spianare la via al benessere. In questa linea nel 1906 fu lui a varare la «legge per la Calabria», che fu, con quella per la Basilicata, voluta dallo stesso presidente del Consiglio, il bresciano Giuseppe Zanardelli, il primo provvedimento organico dello Stato a favore di una regione del Mezzogiorno.
Aldo A. Mola

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Il bergamotto e le sue grandi virtù medicinali

di Vincenzo Pitaro

L’olio essenziale del bergamotto? È conosciuto da tempo per le sue proprietà fortemente antisettiche, rinfrescanti, rasserenanti e stimolanti per le funzioni cerebrali. Pensate un po’ quante straordinarie virtù possiede: elimina le tensioni da stress, gli stati di ansia, calma i nervi, favorisce la fiducia in se stessi. L’aromaterapia, di concerto con la fitoterapia, assieme ad altre branche della Medicina,  perdipiù lo annovera tra i suoi rimedi più efficaci anche nella cura di molti altri disturbi, tra cui l’artrosi,le malattie della pelle, la bronchite, i dolori reumatici, e via dicendo. E che dire del settore della cosmesi e dell'industria profumiera?
Questo preziosissimo olio essenziale, esclusivamente calabrese, fresco e dalla fragranza agrumata (estratto, per spremitura a freddo, dalla scorza dell’agrume) non solo costituisce la cosiddetta «nota di testa» - la base cioè più importante - per la realizzazione di tutti quei profumi di qualità che si producono nel mondo - quelli, per intenderci, rigorosamente non sintetici - ma viene utilizzato anche per impieghi diversi nella fitocosmesi.
«Una grazia di Dio», insomma, come farebbe dire oggigiorno, orgogliosamente, lo scrittore Francesco Perri ad uno dei suoi principali protagonisti (Gèsu), nel fortunato romanzo «Emigranti», edito dalla Lerici nel lontano 1928.
Il bergamotto (nome scientifico: Citrus Bergamia) è infatti un bene che viene dalla natura e che ci offre un ampio ventaglio di applicazioni. La sua zona di produzione, come si sa, riguarda soltanto un determinato lembo del Reggino. Un vero e proprio regalo che il Padreterno ha voluto concedere in esclusiva a quella sottile striscia costiera della Calabria, che si estende - per un centinaio di chilometri - tra Villa San Giovanni e Gioiosa Jonica, a cavallo tra lo Ionio e il Tirreno. È nelle piantagioni di quella Riviera che, agli incipienti tepori primaverili di ogni anno, le gemme tendono a schiudersi per la prima fioritura, liberando nell’aria un profumo intenso e penetrante. Poi, piano piano, i bergamotti crescono in tutta la loro bellezza. E a quel punto saranno loro a fare il regalo più bello. All’industria profumiera, e non solo. Dal frutto, è proprio il caso di dirlo, non si butta via niente. Anzi. Dalle attività produttive agroalimentare, come se il tutto non bastasse, arrivano sulle nostre tavole finanche squisiti liquori, elisir, canditi, confetture, gelati e ogni altro genere di dolciumi.
La notizia che tuttavia, recentissimamente, ha fatto sì che il bergamotto tornasse - per così dire - agli onori della ribalta internazionale, è arrivata ancora una volta dal fronte medico-scientifico, dalla Ricerca. Una tessera in più, finora sconosciuta, dunque, da aggiungere al già noto mosaico delle sue elevate proprietà terapeutiche.
A distanza di alcuni mesi dallo studio condotto nell’Università di Arcavacata, sotto la direzione del prof. Vincenzo Mollace (ricerca ch'era servita ad evidenziare i benefici effetti di alcune molecole contenute nell'agrume) un team di ricercatori dell’Università Magna Græcia di Catanzaro ha portato a termine una nuova interessante ricerca. Dallo studio (pubblicato dal «Journal of Functional Foods», una delle testate giornalistiche più autorevoli e prestigiose nel campo della ricerca medico-scientifica internazionale)emerge come «un gruppo di enzimi, noti con la sigla Hmgf (idrossi flavononi glutaril metile), possono contrastare l’azione dannosa di alcune proteine ritenute essere causa principale di malattie cardiache».
Le molecole contenute nel bergamotto, in pratica, secondo quanto emerso da questo studio catanzarese, «possono avere effetti simili a quelli delle statine nel controllare il colesterolo Ldl», senza far registrare nei pazienti quegli effetti collaterali tipici dei noti farmaci a tutt'oggi in commercio.
«I test condotti per confrontare gli effetti delle statine e degli enzimi Hmgf sul colesterolo», sostiene altresì l'équipe di ricercatori dell'Università Magna Græcia di Catanzaro, «in effetti, hanno dimostrato che il bergamotto ha funzionato altrettanto bene». «Il colesterolo alto», aggiungono gli stessi scienziati, «è un problema di salute comune per tutti noi e spesso le statine sono prescritte per contribuire a trattare la condizione. Pertanto, un supplemento giornaliero di estratto del frutto di bergamotto potrebbe essere molto efficace per il trattamento del colesterolo alto».
Vincenzo Pitaro
© Gazzetta del Sud, pag. Cultura e Spettacoli in Calabria, di Giovedì 8 Maggio 2014 «Il bergamotto arma segreta contro il colesterolo» - Archivio: www.gazzettadelsud.it - www.laltracalabria.it