Giuseppe Pisano (docente di italiano alle Superiori e autore del volumetto «Ombre Templari a Umbriatico», appena dato alle stampe) ne parla con convinzione e non poco entusiamo. «Quell'antica chiesa-fortezza di Umbriatico, in provincia di Crotone», dice, «custodisce reliquie risalenti alla crocifissione di Cristo: un chiodo, una spina, frammenti della veste, che potrebbero essere stati portati da Cavalieri Templari. Tombe di cavalieri in armi, infatti, sono state rinvenute accanto ad altre due chiese non molto distanti da quella di San Donato».
Gli storici contemporanei, fino ad oggi, a sentire il prof. Pisano, avrebbero addirittura ignorato l'esistenza di questo «tesoro nascosto». Eppure, se una notizia del genere - nel volgere di poco tempo - venisse suffragata, per così dire, anche da riscontri scientifici, di certo rimbalzerebbe di punto in bianco agli onori della cronaca mondiale, arrivando a superare di gran lunga finanche la risonanza ottenuta negli anni dalla Sacra Sindone.
L'opera - che si presenta su carta patinata, ben arricchita da illustrazioni a colori - intanto verrà ufficialmente presentata venerdì 16 maggio, nel piccolo borgo del Crotonese.
«Questo originale lavoro di Pisano» - sostiene nella prefazione Enzo Valente, presidente della sezione di Cirò Marina dell'Accademia nazionale Templare - «ha il merito di portare alla luce tracce importanti della presenza Templare in Calabria; tracce del tutto inedite, fino ad ora ignorate dagli storici. A Giuseppe Pisano, quindi, va riconosciuto il merito di avere effettuato minuziose ricerche presso biblioteche e archivi e di aver messo in evidenza quelle parti di testi di autori vari che rappresentano chiari riferimenti ed indizi di una presenza Templare in questo territorio».
I cavalieri Templari. Già! Se ne parla forse poco ma c'è chi assicura che la loro «presenza in Calabria è ancora molto forte». L’interesse verso gli antichi Ordini cavallereschi e i loro misteri, anche nel territorio calabrese, a quanto pare, risulta sempre più in crescendo. Ma quale «febbre» - ci vien fatto di chiedere - spinge, ai nostri giorni, molti stimati professionisti a studiare lingue perdute, decifrare codici, inseguire indizi su antichi testi? Alla base di questi studi, emerge quasi sempre il mito forse più affascinante di tutti i tempi: il Graal.
Cosa simboleggia, dunque, questo Graal, la cui «cerca» richiama ancora oggi, finanche in Calabria, una folta schiera di amanti del mistero, di «avventurieri» dell’esoterico, di esploratori della conoscenza? Il calice dell’Ultima Cena, nel quale - secondo la leggenda più antica - Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue che sgorgò dal costato di Cristo sulla croce? O la chiave che contiene i misteri del plurimillenario potere della Chiesa sulla terra (cioè la tomba della Maddalena), come sostiene Dan Brown nel suo «Codice da Vinci»? Chissà! L’unica cosa che al momento si può affermare (con assoluta certezza) è che questi «esploratori» calabresi del Terzo millennio, appartenenti ad Accademie o a clubs service come Lions o Rotary, sono tutt’altro che esaltati, visto che si tratta di studiosi, valenti intellettuali.
Com’è noto l’origine del misterioso Graal è strettamente legata ad un altrettanto celebre mito: quello di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Ed è da qui che dovremmo partire, per una sorta di viaggio nel tempo, tra racconto e indagine filologica, per cercare di capire di più, per ottenere qualche risposta ai tanti interrogativi, ma il discorso andrebbe certamente per le lunghe.
«A livello letterale», sostiene un grande esperto come Franco Cardini, «la cerca del Graal è solo una bella avventura cavalleresca; ma a livello allegorico essa è il racconto del processo iniziatico che conduce alla conquista della sapienza, cioè alla liberazione dalla prigione delle apparenze».
Diventa più chiaro, a questo punto, il senso profondo che motiva gli «esploratori» di oggi: il bisogno di una ricerca materiale, sì, ma che allo stesso tempo sia anche un percorso introspettivo. Dicono le tradizioni che per trovare il Graal (ma anche altri oggetti «dotati» di un potere analogo) bisogna dimostrare di esserne degni, salvo poi il fatto che non lo si è mai abbastanza. L’obiettivo perciò non è tanto il Graal, quanto trovare se stessi. E non è poco. Anzi.
Vincenzo Pitaro
☆ www.laltracalabria.it
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