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sabato 23 novembre 2013

I Bronzi di Riace e l'Expo di Milano

Reggio Calabria. «I Bronzi di Riace sono inamovibili! Chiunque voglia visitarli, venga a Reggio. La loro sede naturale è (e rimane) il Museo Nazionale, a Palazzo Piacentini».
Il Comitato per la Tutela dei celeberrimi guerrieri si oppone con un deciso NO  alla proposta di trasferirli a Milano in occasione dell'Expo 2015.
Un'«idea», peraltro, ritenuta da più parti «piuttosto assurda e stravagante».
Alcuni anni addietro - per la cronaca - un inquilino di Palazzo Chigi (poi sfrattato) li voleva addirittura a L'Aquila, in occasione del G8.
Domanda legittima: ma come mai queste richieste di «trasferta» si ripetono ciclicamente, sempre (e solo) a riguardo dei Bronzi di Riace?
Possibile che a nessuno venga mai in mente, ogni tanto, di chiedere anche il Mosè di Michelangelo o il David di Donatello?
E che diamine!

domenica 10 novembre 2013

Francesco Mazzei, lo chef che a Londra ha globalizzato la ’Nduja

di Claudio Gallo

Ah la globalizzazione! Quando Thomas Friedman ci diceva che il mondo era diventato piatto, un'ininterrotta pianura di opportunità. Poi abbiamo scoperto che i cinesi, senza la rete del welfare e pagati una miseria, toglievano il lavoro ai nostri operai: una ininterrotta pianura di fregature. Ma siccome la realtà non è in bianco e nero, esiste pur sempre una limitata accezione culturale, in cui la circolazione planetaria delle idee è stata creativa. Prendiamo la storia di Francesco Mazzei, 40 anni appena compiuti, uno dei cuochi più raffinati di Londra.  
Calabrese di Cerchiara Calabra , nella provincia montana di Cosenza, ha cominciato che più «local» non si può. Siccome voleva (lui e i suoi quattro fratelli) andare a scuola con i Levi’s e con le Nike, incominciò da ragazzo ad aiutare lo zio alla gelateria Barbarossa di Villapiana. Un giorno venne a mangiare il gelato un famoso cuoco locale e Francesco gli servì la sua specialità, il «Mangia e Bevi». Il cuoco intuì il talento del giovane: 
«Ma che cosa vuoi fare nella vita?».  
«Voglio studiare amministrazione all’Alberghiero».  
«Amministrazione? Ma no, tu devi fare il cuoco». 
 A diciott’anni il ragazzo aveva aperto il suo primo ristorante, in Calabria, insieme al preside dell’Istituto alberghiero..Nella capitale lavora al Grand Hotel nella stagione dorata degli anni Ottanta e Novanta. Il direttore lo prende in simpatia: «A Francé, sei bravo ma devi imparare l’inglese». Così prende un anno di aspettativa e va a lavorare a Londra, al Dorchester di Mayfair, l’albergo a cinque stelle del sultano del Brunei. «Per me era una dimensione incredibile - racconta - c’erano 120 cuochi». Nel giro di poco, Francesco era passato da «Second Commis», aiutante, a «Sous Chef», vicecuoco.  
Imparato l’inglese, torna in Italia e lavora al ristorante della terrazza dell’Eden, in via Ludovisi a Roma. «Fu allora che mi accorsi che la cucina di classe italiana era troppo dipendente da quella francese», ricorda. Il mondo rurale da cui proveniva, dove il pane, la conserva e i salumi si facevano in casa, gli appariva adesso come un modello e non più come un limite. Il richiamo del Nord era potente: andò al Santini di Milano e poi, finalmente, al Santini di Londra. Poi più a Nord, di nuovo sulle rive del Tamigi, dove tutti i posti del mondo si incontravano. 
Il giovane «local» di talento diventa «global» conoscendo a Londra Alan Yau, il più celebre ristoratore di Hong Kong, l’uomo che ha portato la cucina cinese a vette stellari. Francesco scopre l’oriente e aiuta Xan ad aprire nuovi ristoranti in Inghilterra, negli Stati Uniti, a Istanbul e a Mumbai. Vive un anno a Bangkok, facendo il cuoco al Falabella, nel Royal Bangkok Sport Center di proprietà della famiglia reale. Non ha il visto di soggiorno, così ogni mese esce dal Paese e va a farsi un giro in Cambogia, Vietnam, Laos, Singapore. 
«Quei viaggi - racconta - mi aprirono la mente. Dovevamo finirla noi italiani di vergognarci della pasta e della pizza. Bisognava capire che non erano piatti che potesse fare il primo arrivato». Fu allora che nacque l’idea della ’nduja, il salame piccante calabrese. «I cambogiani - dice - mi offrivano il loro maiale bollito come fosse una prelibatezza, ma noi avevamo di meglio».  
Così cominciò a firmare la «Calabrese», la pizza con la ’nduja, per Pizza Express. In breve divenne la più venduta nel mondo dalla catena. «Solo negli ultimi due anni - dice Francesco - Pizza Express ha comprato due milioni di sterline di ’nduja in Calabria». La Calabrese è oggi un must a Dubai, ad Abu Dabhi, a Hong Kong.  
«Quest’estate - racconta - a Spilinga, il paese dove è nato il salame piccante, mi hanno dato un premio». Curiosamente, a Spilinga si dice «’ndugia», proprio come lo pronunciano gli inglesi.  
«Nessuno al mondo poteva immaginare - dice - che nella cucina italiana ci fosse un salume piccante morbido che si può spalmare». Un ingrediente potente da combinare con perizia. Il suo capolavoro sono le capesante alla ’nduja, le «Charcol Scallops 'Nduja and Salsa Verde», dove il piccante del salame si fonde con l’acidità della salsa e la consistenza del mollusco in un abbraccio voluttuoso. 
Francesco Mazzei si esibisce adesso all’Anima a Shoreditch, nella City, uno dei migliori ristoranti italiani di Londra, ma il suo sogno (presto realizzato) è di aprire una trattoria a prezzi popolari dove chiunque può mangiare a prezzi abbordabili la cucina tradizionale (globalizzata) italiana. 
Claudio Gallo
(Corrispondente da Londra del quotidiano La Stampa)

giovedì 7 novembre 2013

Calabria, il «Codex Purpureus Rossanensis» in Quirinale il 14 novembre

#Rossano (Cosenza). Il «Codex Purpureus Rossanensis» sarà esposto in #Quirinale, il prossimo 14 novembre, in occasione della prima visita ufficiale di Papa Francesco al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
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Nella foto: alcuni particolari del #CodexPurpureusRossanensis. Si tratta di un manoscritto pergamenaceo, conservato nel Museo Diocesano d'Arte Sacra di Rossano (Cosenza), databile - molto probabilmente - alla seconda metà del V secolo. Un'opera d'inestimabile valore, unica al mondo, che rappresenta il simbolo più eloquente della gloriosa epoca bizantina in Terra di Calabria. Il testo dei vangeli di San Matteo e San Marco è scritto in oro e argento su fondo rosso ed è illustrato da splendide miniature policrome a piena pagina.

Caro Sansonetti, ma perché quel «minuscolo»?

Caro Sansonetti, «ma perché quei caratteri con le iniziali minuscole» nella testata? È una domanda che, assieme a noi, si pongono da tempo molti Calabresi. Oddio!, di primo acchito, sembrerebbe un problema di «lana caprina». E invece no. «La Calabria» - ci scrivono in molti - «merita l’iniziale maiuscola». Che dire? Ci siamo un po’ sbizzarriti a modificare la grafica di testata. Ecco come si presenta oggi «L’Ora della Calabria» e come sarebbe ideale, per molti calabresi, che si presentasse in futuro. 

In tutta sincerità: non è meglio la seconda?
Un abbraccio, Vincenzo Pitaro