di Vincenzo Pìtaro
I dizionari enciclopedici (tutti: dallo Zanichelli alla Treccani) stranamente lo ignorano. Eppure la Calabria ha nella commedia dell'arte la sua gioiosa e simpatica maschera: è Giangùrgolo.
Il nome di per sé è già tutto un programma. Etimologicamente sembra voglia dire Gianni-gola-piena, o Gianni-ingordo. Insomma è un capitano d'origine spagnola, che alla bisogna sa fare i più diversi mestieri, in perenne dissidio con la fame e l'ingordigia, sempre insaziabile di cibo. In particolare di maccheroni che sono la vivanda per cui stravede, specie quando sono ben fumanti. Al tempo stesso è un fanfarone di tre cotte, ne spara di tutti i colori; è un guascone che veste alla spagnola ed ama forbire il suo dialetto calabrese con intercalari spagnoleschi.
Giangùrgolo, come tutti gli uomini fragili, si studia di dare di sé un'immagine piuttosto fittizia che reale. Fa di tutto per apparire temerario, truculento e pieno di sé, al punto che è sempre corrivo a coprire di improperi e di minacce chiunque non indulga a prenderlo sul serio. È pronto, a parole, a dare bastonate sulle spalle, a rompere teste, a fracassare ossa ed a ridurre uomini interi in frattaglie. Salvo poi a darsela a gambe se qualcuno fa le mostre di prenderlo in parola e di abbozzare una reazione. Perché, sì, Giangùrgolo, è soprattutto pusillanime, che riesce e vuole infierire sui deboli e indifesi, e fuggire a gambe levate, o al più ingraziarseli con le sue svenevolezze, i forti ed i potenti.
Il nostro è anche un dongiovanni, o per meglio dire, ama provarsi nell'arte di sedurre le «giovin donzelle». E qui, non senza cadere nel grottesco, le sue labbra, che prima sprizzavano una profluvio di contumelie e minacce, si trasformano in fonte di sdolcinate parole d'amore per le damigelle concupite (che sono sempre più d'una, figuriamoci!). Ma non viene mai corrisposto, perché non preso sul serio; anzi quasi sempre viene canzonato dalle stesse donnette e finisce col ritirarsi scornato e con la coda fra le gambe.
Questa maschera tipica calabrese è vestita con marsina e pantaloni gialli rigati di rosso, porta un corsetto rosso, un naso sesquipedale eternamente paonazzo ed un lungo spadone che tiene legato ad una larga bandoliera, ma che non usa mai in quanto che la sua... ferocia si esprime solo a parole, senza passare mai a vie di fatto.
Porta un copricapo a cono, ornato da una lunga piuma di pavone (che la dice lunga sul carattere del personaggio) molto in voga nelle Calabrie del '700. Le origini del Giangùrgolo vengono fatte risalire alla metà del XVI secolo: calcò le scene dei teatri italiani fino a tutto il XVII; un personaggio omonimo e calabrese comparve in quel periodo sui teatri napoletani e persino veneziani.
Il luogo d'origine è a tutt'oggi controverso. C'è chi vuole che questa maschera sia sorta in Sicilia e solo in un secondo momento sia approdata in Calabria. Vale a dire dopo il 1713, allorquando, con la pace di Utrecht, in Sicilia agli Spagnoli succedette il duca Vittorio Amedeo II di Savoia.
C'è invece chi propende per una primogenitura napoletana. Di certo v'è soltanto che la maschera di Giangùrgolo è una amena parodia di quei signorotti spagnoli boriosi e tronfi.
© Vincenzo Pitaro
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(ndr) A beneficio degli studiosi che intendessero effettuare eventuali ricerche sulla maschera di Giangurgolo, presso le emeroteche o le biblioteche, sono da segnalare le seguenti pubblicazioni del giornalista Vincenzo Pitaro:
1) Vincenzo Pitaro: «È Giangurgolo la maschera calabrese» in «La Provincia di Catanzaro», nn. 5-6 1986 e, stesso anno, anche in «Calabria Letteraria» e «Parallelo 38»
2) Vincenzo Pitaro: «Giangurgolo, un “capitano” calabrese, maschera della commedia dell’arte», Gazzetta del Sud, Cultura, Paginatré, di martedì 16 Febbraio 1999
3) Vincenzo Pitaro: «Ecco Giangurgolo, maschera del ‘700», Gazzetta del Sud, pag. Cultura, Domenica 3 Febbraio 2008
4) Vincenzo Pitaro: «La Calabria nella commedia dell’arte» in Antologia di Letteratura Calabrese, 1995 #VincenzoPitaro
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